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Da ieri, la Global Minimum Tax è diventata operativa in numerosi Paesi, segnando un importante passo avanti nella lotta contro l'arbitraggio fiscale da parte delle multinazionali. L'accordo, sotto l'egida dell'Ocse, coinvolge un gruppo iniziale di nazioni, tra cui l'Italia, la Francia, la Germania, la Spagna, il Regno Unito, il Canada, la Norvegia, l'Australia, la Corea del Sud, il Giappone e la Svizzera. Sebbene tutti i Paesi dell'Unione europea abbiano dichiarato il loro impegno nell’adottare le nuove regole, alcune eccezioni consentono a nazioni più piccole un periodo di attesa di sei anni.
A regime, ci si aspetta che questa nuova imposta contribuirà a generare entrate fiscali globali aggiuntive di 220 miliardi di dollari, secondo le stime dell'Ocse. Ciascun Paese firmatario si è impegnato ad applicare un'aliquota fiscale minima del 15% sui profitti delle multinazionali con ricavi annui superiori a 750 milioni di dollari.
Un focus particolare è rivolto a come Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svizzera, che tradizionalmente hanno offerto aliquote fiscali molto basse per attirare le multinazionali. Questo fenomeno, particolarmente diffuso tra le società attive online, ha portato a una distorsione nei calcoli del PIL di queste economie.
In Svizzera, ad esempio, l'imposta è entrata in vigore solo dopo una modifica costituzionale attraverso un voto referendario. Tuttavia, alcune limitazioni dell'accordo sono emerse, mantenendo trattamenti di favore per le holding, specialmente in relazione a dividendi e plusvalenze. Questo solleva dubbi sulla reale eliminazione della concorrenza fiscale, con possibili effetti collaterali come una corsa ai sussidi per gli investimenti diretti e un aumento della burocrazia e del contenzioso fiscale.
L'accordo è stato firmato da 140 Paesi, ma gli Stati Uniti e la Cina, due attori chiave nell'economia globale, devono ancora adottare le nuove norme nel loro ordinamento. Alcuni Paesi, come Nigeria, Sri Lanka e Kenya, hanno negato la firma, mentre il Pakistan si è ritirato dopo averla inizialmente accettata.
L'accordo prevede due pilastri: uno riguarda la redistribuzione dei profitti in base alla nazionalità dei consumatori, e l'altro impone una tassa aziendale minima globale del 15%. Tuttavia, il successo di questa iniziativa dipenderà dalla piena adesione di tutti i Paesi coinvolti, compresi gli Stati Uniti e la Cina, che potrebbero influenzare notevolmente l'efficacia delle nuove regole.
L'obiettivo di uniformare il trattamento fiscale delle multinazionali è stato un tema dibattuto a lungo, con proposte che risalgono addirittura al 1992. È solo dal 2019 che l'Ocse ha iniziato a promuovere in modo più incisivo un accordo a livello globale. La strada verso una maggiore equità fiscale per le multinazionali sembra tracciata, ma la piena attuazione e l'aderenza universale rimangono sfide cruciali da affrontare.
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