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Le implicazioni fiscali per i redditi derivanti da attività lavorative svolte all'estero da residenti italiani sono state al centro di un'importante sentenza della Corte di Cassazione pubblicata il 1° marzo 2024. La sentenza riguarda un caso in cui un contribuente italiano, impiegato presso un'azienda in Kazakistan per più di 183 giorni all'anno, è stato contestato per la sua residenza fiscale in Italia in base al domicilio civilistico.
Secondo quanto stabilito dall'articolo 2, comma 2, del Tuir (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), i redditi esteri devono essere dichiarati in Italia, consentendo al contribuente di dedurre le imposte pagate all'estero tramite il meccanismo del credito d'imposta (articolo 165 del Tuir).
La sentenza, oltre a risolvere la questione specifica del caso, offre anche importanti chiarimenti interpretativi riguardo alle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni fiscale. In particolare, la Corte ha enfatizzato che l'espressione "may be taxed" presente nelle convenzioni, come quella tra Italia e Kazakistan, suggerisce una tassazione concorrente tra lo Stato della fonte (dove è svolta l'attività lavorativa) e lo Stato della residenza (l'Italia nel caso specifico). Questo implica che il reddito derivante da lavoro dipendente svolto all'estero deve essere dichiarato in entrambi gli Stati, con possibilità di evitare la doppia imposizione attraverso il credito d'imposta.
La sentenza solleva anche riflessioni sul concetto di residenza fiscale, particolarmente significativo dopo le modifiche apportate dall'articolo 1 del Dlgs 209/2023. Oltre al criterio tradizionale della residenza civile e della presenza fisica, il legislatore ha introdotto il concetto di "domicilio fiscale", definito come il luogo in cui si concentrano gli interessi personali e familiari del contribuente.
Questo cambiamento avrà un impatto significativo su situazioni come quella esaminata nella sentenza della Cassazione, in cui un individuo lavora all'estero per più di 183 giorni all'anno ma mantiene la famiglia in Italia. Con la nuova definizione di residenza fiscale, trasferire la famiglia nel paese in cui si svolge l'attività lavorativa diventa l'unica opzione per evitare la tassazione concorrente.
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