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Quello del passaggio o ricambio generazionale è un tema che negli ultimi anni sta assumendo sempre più importanza a causa delle peculiarità del tessuto produttivo italiano, composto principalmente da realtà imprenditoriali di piccole e medie dimensioni.
Molte imprese a conduzione familiare sono infatti sorte nel periodo del boom economico degli anni ’50 e ’60, e devono ora – o dovranno nel prossimo futuro – confrontarsi con il delicato momento della cessione della funzione imprenditoriale dai fondatori ai successori.
Quando si parla di ricambio generazionale si intende appunto il processo che conduce al passaggio di capitale, e talvolta di responsabilità gestionale, dalla generazione presente a quella emergente, al fine di garantire la continuità dell’impresa.
Gestire il trasferimento del patrimonio in modo efficiente e strutturato è indispensabile per assicurare la sopravvivenza di un’attività imprenditoriale, come anche la sua stabilità e il suo ulteriore sviluppo nel tempo.
Si stima che, nei prossimi vent’anni, almeno 400 miliardi di euro di solo patrimonio mobiliare italiano (a cui vanno sommati tanto il patrimonio immobiliare quanto quello aziendale) saranno interessati da questa circostanza, eppure secondo l’Associazione Italiana Private Banking solo un individuo su quattro ha attivamente pianificato le fasi del passaggio. Similmente si può notare che solo il 30% delle imprese familiari sopravvive al suo fondatore, e appena il 13% giunge alla terza generazione.
Infatti il ricambio generazionale si rivela spesso difficile, in alcuni casi traumatico, poiché non attiene solo alla dimensione economico-finanziaria o di mera successione al vertice dell’impresa, bensì coinvolge anche dinamiche di tipo relazionale e familiare. Un ulteriore livello di complessità è dato poi dal fatto che al trasferimento delle quote e delle cariche si accompagna – o quantomeno dovrebbe accompagnarsi – la trasmissione del patrimonio di conoscenze e competenze aziendali accumulate negli anni, nonché la condivisione dei valori fondanti l’impresa.
Appare quindi evidente che affidare tale accadimento all’improvvisazione aumenta il rischio di generare effetti destabilizzanti e potenzialmente distruttivi per l’impresa.
Nel momento di una successione obbligata, la mancanza di pianificazione strategica del processo può portare a rallentamenti o addirittura alla paralisi dell’attività aziendale. Ciò accade soprattutto in quelle imprese in cui il fondatore si rifiuta di pensare in anticipo alle modalità con cui realizzare la successione, per ragioni psicologiche o nel tentativo di ritardare il momento in cui dovrà cedere ad altri la sua posizione di controllo.
Non preparare le basi per il passaggio è però una scelta fortemente negativa per l’impresa, che ne potrebbe risultare danneggiata. I successori del fondatore potrebbero non avere un’adeguata preparazione rispetto a compiti, esigenze e responsabilità vitali per il proseguimento della realtà imprenditoriale. Inoltre all’interno del nucleo familiare le risorse hanno spesso caratteristiche differenti: soltanto alcuni eredi potrebbero essere interessati ad una gestione attiva dell’impresa, laddove altri potrebbero solo voler beneficiare delle rendite derivanti dalla detenzione di quote o azioni; altri ancora potrebbero avere interesse a cedere interamente le proprie parti di capitale per distaccarsi dall’attività di famiglia.
In questo senso il ricambio generazionale non è un evento ma un processo graduale composto da un insieme di fasi di cui la prima è quella della pianificazione, che prende avvio ben prima che si abbia il passaggio formale di consegne. Solo adottando questa prospettiva il passaggio potrà essere un’opportunità di crescita più che un momento di crisi.
Affinché si abbia un passaggio generazionale di successo, la pianificazione va fatta su più livelli:
Le probabilità di un buon esito sono inoltre maggiori se si tengono in considerazione alcuni fattori:
Tra i principali strumenti idonei alla trasmissione del patrimonio aziendale possiamo considerare:
Il trust è un istituto nato nel sistema anglosassone di Common law e originariamente inesistente nel nostro ordinamento, che infatti non prevede nessuna norma specifica per la sua disciplina. Viene oramai riconosciuto dal diritto italiano in virtù della ratifica della Convenzione dell’Aja, avvenuta il 1 luglio 1985 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1992.
Lo strumento del trust consente di tutelare determinati beni affidandoli a un altro soggetto che avrà l’incarico di gestirli.
Secondo quanto stabilito dalla Convenzione, con questo termine si indica la fattispecie per la quale un soggetto (il disponente, altresì detto “settlor”), attraverso un atto inter vivos o mortis causa, sottopone dei beni al controllo di un altro soggetto (“trustee” se è una persona, “trust company” se si tratta di una società) nell’interesse di un beneficiario (“beneficiary”) o per un fine determinato.
I beni in trust non fanno parte del patrimonio del trustee, sebbene siano a lui intestati. Questo ha il potere e l’onere di amministrare, gestire e disporre dei beni in conformità a quanto previsto dall’atto costitutivo del trust o dalla normativa. Il settlor può comunque conservare alcuni diritti e facoltà, così come il trustee può avere dei diritti in qualità di beneficiario. Talvolta può esistere anche un altro soggetto, detto “protector”, che svolge funzioni di controllo nei confronti del trustee.
Nel concreto, lo stesso soggetto può ricoprire più di una posizione giuridica (ad esempio nel trust autodichiarato le figure del disponente e del trustee vengono a coincidere), così come più soggetti possono assumere la stessa posizione (nel caso ad esempio di una pluralità di disponenti o di trustee ecc).
La specificità di questo strumento consiste nello sdoppiamento del concetto di proprietà: proprietario dei beni è il trustee, che è anche l’unico a poterne disporre (seppure nell’interesse del beneficiario o per il fine deciso al momento della stipula); tuttavia i beni non rientrano nel suo patrimonio personale, risultando quindi inattaccabili da parte di eventuali creditori e in generale insensibili alle vicende personali, familiari, successorie e fiscali tanto del disponente quanto del trustee (cosiddetta segregazione patrimoniale).
Tra i motivi di scioglimento del trust ci sono la scadenza naturale (ad esempio al raggiungimento dello scopo o al verificarsi di un evento determinato), la rinuncia o la morte del trustee senza sostituzione, il consenso unanime di tutti i beneficiari del trust, un provvedimento dell’autorità giudiziaria e altre circostanze specifiche.
Queste caratteristiche rendono il trust uno strumento particolarmente utile ai fini della trasmissione di un patrimonio imprenditoriale, ad esempio nei casi in cui sia necessario gestire l’azienda per un periodo di tempo definito prima che possa compiersi la trasmissione stessa. Con il trust, un proprietario potrebbe sottoporre l’amministrazione del patrimonio aziendale ad un soggetto che lo gestisca nell’interesse del beneficiario e lo trasferisca infine a questi al termine della durata stabilita dal trust. In questo modo il subentrante può essere individuato anticipatamente ma il suo subentro può essere rinviato ad una data successiva (ad esempio al raggiungimento di una data età). L’azienda affidata in trust, non rientrando più nel patrimonio del disponente, non potrà quindi passare nelle mani di eredi ritenuti non idonei, non dovendo più sottostare ai vincoli della successione.
Il patto di famiglia è uno strumento, introdotto con la legge n. 55 del 14 febbraio 2006, con il quale l’imprenditore può trasferire ad uno o più eredi l’azienda o le quote di partecipazione al capitale. È disciplinato dagli articoli 768-bis e 768-octies del Codice civile.
È un contratto plurilaterale – con le caratteristiche di essere inter vivos, ad effetti reali e a titolo gratuito – che dà la possibilità all’imprenditore di definire ex ante le regole sulla base delle quali gestire il trasferimento dell’impresa, salvaguardandola quindi da eventuali conflitti tra soci/eredi.
Deve essere stipulato per atto pubblico alla presenza di tutti coloro che – se al momento della stipula si aprisse la successione – sarebbero considerati legittimari e deve prevedere che i beneficiari dell’azienda e delle partecipazioni societarie liquidino gli altri partecipanti al contratto con una somma di denaro (ovvero con beni in natura) corrispondente alle quote riservate ai legittimari, a meno che questi non vi rinuncino (in tutto o in parte). A questo proposito può essere utile richiedere una perizia di stima sull’azienda sulla base della quale determinare i giusti conguagli tra i vari partecipanti all’atto.
Le vicende successorie del patrimonio aziendale vengono così definite da un accordo tra più soggetti, anziché dalla volontà testamentaria o dalla legge. In questo senso la disciplina del patto di famiglia si configura come una deroga al divieto dei patti successori secondo cui “è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione” (art. 458 c.c.), la cui ratio risiede nella necessità di tutelare la libertà del de cuius di cambiare la propria volontà testamentaria in qualsiasi momento finché in vita.
La deroga è pensata al fine di eliminare la situazione di incertezza sulle sorti dell’impresa che si veniva a creare precedentemente con svantaggio tanto per gli eredi quanto per la continuità dell’azienda stessa. In questo modo il passaggio da una generazione alla successiva può essere pianificato e condotto in maniera più efficiente, ad esempio con il patto di famiglia l’attività imprenditoriale può essere trasferita all’erede o agli eredi, considerati più idonei al proseguimento e alla salvaguardia dell’integrità dell’impresa.
Il patto di famiglia può essere modificato o annullato soltanto mediante un ulteriore patto di famiglia, con le medesime caratteristiche e alla presenza dei medesimi partecipanti, oppure mediante recesso, se espressamente previsto dal patto stesso, a cui segua una dichiarazione degli altri contraenti certificata da un notaio.
Una holding, abbreviazione dell’inglese holding company, è una società finanziaria che detiene parti del capitale di altre imprese al fine di controllarne la gestione e indirizzarne le attività conformemente alla strategia unitaria del gruppo.
Le varie tipologie esistenti possono essere distinte innanzitutto in due principali categorie:
La holding di famiglia non è altro che una società holding i cui soci sono membri di una stessa famiglia o ramo familiare.
Inoltre:
Per queste caratteristiche, la creazione di una holding di famiglia comporta numerosi vantaggi.
I principali possono essere così delineati:
Per quanto riguarda le società di persone, una holding di famiglia può essere costituita come:
Per quanto riguarda invece le società di capitali, si possono avere:
Le diverse tipologie di società capogruppo comportano un diverso regime di tassazione; la scelta sulla struttura da dare alla holding nascente dipende quindi dalle esigenze della famiglia stessa.
La scelta dello strumento giuridico con cui gestire il passaggio generazionale è strettamente legata alle caratteristiche della famiglia presa in considerazione, vale a dire dalla dimensione e qualificazione del suo patrimonio, dal tipo di beni in oggetto, dal numero di familiari e dalle dinamiche tra loro esistenti, infine dalle esigenze specifiche e dalle finalità perseguite.
Ciò che è certo, è che un attento lavoro di pianificazione del processo è di fondamentale importanza per le sorti di ogni impresa che voglia sopravvivere allo scorrere del tempo.
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